Intervista a Francesca Fariello

[highlight]Francesca Fariello, intervistata da Contrordine, ci racconta il suo modo di fare musica[/highlight]

Una ragazza comune con una passione che l’ha caratterizzata fin da piccola, Francesca Fariello studia canto da moltissimi anni e comunica le sue emozioni sul palco dal 2001.

Con due album all’attivo, performerà il suo ultimo lavoro, Zero, in due date, il 10 aprile al Dejavù di Pozzuoli e il 14 aprile al Sottopalco del Bellini.

Abbiamo avuto il piacere di intervistarla.

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Come mai ti sei dedicata alla musica alternativa?

Non definirei la mia musica alternativa, perché il mio obiettivo non è stato quello di scegliere un unico genere. Quello che mi interessava è la musica, fin da piccola infatti ho studiato canto formandomi prima con la lirica e poi con la logopedia, e poi mi sono dedicata anche ad altri strumenti. Però scrivere le canzoni è partito già da prima, nella mia stanzetta. Non so se si può definire musica alternativa. Alternativi sono certamente i canali che ho scelto. Infatti mi oppongo totalmente ai talent show e Target (un brano contenuto nell’album) spiega proprio la mia opinione riguardo questi nuovi fenomeni e la musica, più che guidata, comandata dalle esigenze di mercato.

Oggi però i talent ricoprono un ruolo quasi fondamentale come trampolino di lancio per un artista, perché scagliarsi contro di loro?

Se fosse tutto come quello che si vede da fuori, il ragazzo che va alle audizioni, canta la sua canzone, viene scelto e tutto quello che ne sussegue, sarebbe un sogno che si avvera. Purtroppo però non è tutto oro quello che luccica, in quanto una volta arrivati lì è la crew che decide quale pezzo bisogna cantare e da chi fartelo scrivere anche se si è già un autore. Quindi ti pongono fin da subito dei compromessi a cui devi per forza scendere per proseguire. Io mi trovai in una situazione del genere quando superai le selezioni come primo classificato a Sanremo Giovani. Arrivai dunque a chiedermi: a me interessa scendere a compromessi o fare musica? Ovviamente scelsi la seconda.

A quali artisti ti sei ispirata?

Diciamo che io vengo da una tradizione musicale piuttosto varia. Ho studiato diversi generi musicali, il blues e il gospel per esempio, e quindi non sono riuscita a focalizzarmi su uno ben preciso. Il genere che sento più vicino a me è il rock melodico, come i Led Zeppelin, ma anche il rock contaminato dalla musica folk. Ascolto molto i Pink Floyd, Placebo. In questo momento ho ripreso a studiare la lirica e quindi mi sto dedicando ai classici come Puccini e la Madama Butterfly. Non c’è quindi un solo genere a cui mi sono ispirata perché ascoltandone diversi ti senti comunque ispirata in qualche modo da tutti. In questo album ad esempio ho utilizzato tecniche vocali differenti, come ad esempio acuti lirici, che molto spesso vengono utilizzati anche nella musica jazz, assoli di petto o di testa.

In A&K si può notare un’influenza dei Paramore?

Decisamente sì. Per questo brano abbiamo contattato il grande batterista Charlie Morgan, che ha collaborato con Elton John, Tina Turner e tanti altri. Dopo esserci prima presentati tramite Skype e dopo aver letto il testo del brano, abbiamo discusso su quale musicalità fornire al pezzo ed abbiamo deciso di fornirgli una sfumatura che ricordava proprio i Paramore.

Com’è stato essere un soprano nel coro gospel scuole David Italia?

È stato fantastico perché ho collaborato con un’orchestra per una trasmissione Mediaset e lì ho conosciuto una logopedista, che faceva tecniche afroamericane applicate al canto. Io venivo da uno studio vocale lirico e anche leggero con un maestro napoletano. In quel periodo ho affinato quindi le mie qualità vocali e ho appreso nuove tecniche totalmente diverse da quelle italiane. Un esempio è la tecnica del petto dolce, utilizzata dalla stessa Mariah Carey. Sembra quasi un falsetto, ma in realtà è voce piena compressa in emissione e ci vuole uno sforzo incredibile di diaframma. Abbiamo collaborato anche con Matthew Ward e grazie a quest’esperienza sono riuscita a cogliere la voce utilizzata come strumento e il collaborare in un coro mi ha portato quasi in un’altra dimensione in cui sei assimilabile a una macchina. Alla fine mi sono resa conto che era necessario un’emissione vocalica differente, infatti sono partita da mezzo soprano e ora sono soprano e scendo anche nei bassi di contrasto.

Cosa ha lasciato nelle tue sonorità l’esperienza nel mondo del jazz?

Per anni più che jazz vero e proprio mi sono ispirata a Erykah Badu, infatti nel mio album ho collaborato con il suo batterista Poogie Bell. Ma ciò che mi ha fatto capire anche questa esperienza jazz è che la musica è unica e l’aver adattato la propria voce a diverse musicalità, aiuta anche ad esprimere al meglio il tuo essere cantante. L’obiettivo principale per la composizione di questo album era di immedesimarsi nel brano a tal punto da diventare io stessa brano. Dal jazz questo album ha colto la concezione dei cori e le musicalità fornite dal bassita Dario Spinelli e dal pianista Stefano Bottiglieri. In July 24, che è stato scritto sulla pagina di un taccuino e rappresenta una comune pagina di diario, si sentono molto queste sonorità. In Breaking up the silence per esempio si può cogliere anche un’influenza gospel non solo nei cori con armonizzazione per terze ma c’è anche la tecnica del petto dolce per realizzare i clappati per dare la sensazione di coro avvolgente.

Hai partecipato anche ad un singolo house, in conclusione ti si può definire artista poliedrico?

Durante il mio studio di canto ho avuto diverse esperienze ma il mio percorso di cantautrice è stato pressoché univoco. Io mi sono formata sia come cantante sia come cantautrice e quindi l’aver cantato un brano house lo vedo più come scuola, come un qualcosa da aggiungere al proprio curriculum. Quello che mi rappresenta completamente è la mia attività da cantautrice. Per quanto riguarda l’essere un artista poliedrico ringrazio innanzitutto per il complimento. Io sono una persona che cerca di trarre un insegnamento da più esperienze possibili per raccontare ed esprimere quanto più riesco a conoscere. Anche nella mia vita personale, infatti sono laureata in Cinese e sto approfondendo ancora lo studio del Cinese e la filosofia. Il titolo dell’album precedente può essere un esempio dei miei numerosi interessi, in quanto faceva riferimento alla mia passione per la letteratura giapponese e soprattutto per i Nikki, che sono assimilabili a dei diari scritti da donne. Per Zero invece il concetto è diverso: i brani sono stati scritti tutti in quel momento.

Hai diviso il palco con Luca Barbarossa, Paola e Chiara e Giò Di Tonno, com’è stata questa esperienza?

È stata un’esperienza unica perché collaborare con altri musicisti su un palco ti permette di creare un momento di condivisione, ti permette di concepire una visione musicale più aperta. La tua esibizione viene influenzata anche dagli artisti che si sono esibiti prima di te e credo che salire sul palco insieme ad altri artisti ti permette di crescere.

Per quanto riguarda il tuo album, come mai hai deciso di chiamarlo Zero?

L’idea era partire dalla concezione della musica come spazio protettivo, infatti nella copertina sono rappresentata in posizione fetale. Richiama molto la visione Zen dello svuotamento della coscienza perché un musicista, quando fa musica, riesce a svuotare tutte le sue sovrastrutture quotidiane. Infatti nella vita quotidiana sono una persona completamente diversa da quella che rappresento quando scrivo canzoni, mi sento completamente protetta. All’interno del cerchio musicale rappresentato da Zero noi ci celiamo dietro uno scudo.

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Verso quale tematica spaziano le tue tracce?

La tematica delle tracce è la non tematica. Il cerchio di queste dieci canzoni è stato scritto di getto. Ciò che unisce queste canzoni è soltanto il modo in cui mi sono rapportata a me stessa nello scriverle. Il fatto che le abbia scritto di getto e di averle suonate così come erano crea una non tematica, infatti tra di loro sono legate dalla sonorità della band, che però coglie diverse sfumature. Abbiamo voluto creare quello che eravamo in quel momento quasi come un flusso di coscienza. Ad esempio c’è Tifone che è una dedica a Joseph Conrad, ci sono riferimenti anche a Dorian Gray di Oscar Wilde. Ho preferito chiudere l’album proprio con Ora, il cui testo parla dell’assenza di capacità nell’afferrare l’attimo, cercare di fermare il tempo e di vivere il momento. Inoltre c’è un riferimento proprio al tempo ed è rappresentato dalla O di ora, che indica il cerchio del tempo che continua e non si può fermare.

Qual è invece la tematica del tuo singolo Alive&Kicking?

La tematica è incentrata su un omaggio alla letteratura gotica. Nel video non solo è presente un riferimento a Dracula, ovvero la tematica del vampiro, ma anche un riferimento alla letteratura irlandese dell’800 e più precisamente a Carmilla, la storia di un vampiro donna. Il vampiro è un modo quasi per esorcizzare i demoni interiori.

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Perché hai scelto di incidere tracce in inglese?

Questo è il mio secondo album, le tracce del primo erano tutte in inglese. Questo essendo un album scritto così com’è non ha avuto rimaneggiamenti per rendere le canzoni in maniera o lingua diversa. È ragionato ed istintivo. Fin da piccola sono stata indirizzata verso canzoni inglesi tanto da arrivare al punto da pensare già in inglese.

Photo Credits: Giacomo Ambrosino Photographer per GMPhotoAgency

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