Rischio Vesuvio e Piano di Emergenza

[highlight]Il nuovo Piano di Emergenza del Vesuvio al centro delle critiche, tra piani di evacuazione poco chiari e valutazione del rischio ambigua[/highlight]


In questi giorni il rischio Vesuvio è oggetto di attenzione da parte della stampa. Un articolo apparso sul supplemento de “La Repubblica” del 6 dicembre denuncia la carenza del Piano Nazionale di Protezione Civile, intervistando ricercatori, tecnici, politici che esprimono le loro preoccupazioni per i contenuti del Piano, ritenuti utopici.

Successivamente sul “Corriere del Mezzogiorno” del 14 dicembre viene illustrato il lungo iter del Piano di Emergenza del Vesuvio, a partire dall’elaborato del 1995. Il nuovo Piano, in fase di completamento, prevede l’ampliamento della zona rossa (zona di massima pericolosità), portando il numero dei Comuni da evacuare all’approssimarsi dell’eruzione da 18 a 24, aggiungendo all’elenco alcuni centri del nolano e aggiungendo i quartieri orientali della città di Napoli (San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli). In seguito a tali modifiche, il Dipartimento della Protezione Civile sta procedendo alla riorganizzazione dei gemellaggi tra i Comuni della zona rossa e le Regioni per la destinazione della popolazione che sarebbe allontanata dall’area vesuviana per l’approssimarsi di un’eruzione. Tale Piano è all’esame della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Stato-Città e autonomie locali, in seduta congiunta.

Il Piano di emergenza del Vesuvio, a 18 anni dal primo documento ufficiale prodotto dal Dipartimento di Protezione Civile risulta ancora un documento tecnico in evoluzione. A tale fase dovrà seguire la promulgazione di una norma per la mitigazione del rischio vulcanico, alla quale dovranno attenersi gli Enti Locali nel governo del territorio. Ma il tutto non è esente da critiche, sia per la parte relativa alla valutazione della pericolosità e al sistema di allarme per l’eruzione, che per l’allontanamento della popolazione dalla zona rossa e la destinazione nelle diverse Regioni ospitanti.

La parte più debole del Piano è quella relativa alla collocazione della popolazione evacuata. Non è disponibile uno studio di fattibilità sui costi economici e sociali di una “diaspora” della comunità vesuviana verso le varie Regioni. Mancano valutazioni sulla durata del soggiorno lontano dal Comune di appartenenza e scenari post-eruzione per conoscere le condizioni per ritornare alla propria abitazione e alle attività quotidiane.
Nelle attuali condizioni di estrema fluidità per la mancanza di dati certi sull’evento eruttivo, sulla sua durata e sugli effetti, è un puro azzardo attivare il Piano di evacuazione secondo le modalità previste.

Forse ipotizzare l’allontanamento delle persone ad una distanza dal Vesuvio di 30-50 km – dunque non di diverse centinaia, come prevede il Piano – potrebbe essere una soluzione più realistica e con minori effetti socio-economici negativi.

Se invece bisognerà necessariamente allontanarsi per distanze maggiori, ne discenderebbe che il Dipartimento di Protezione Civile valuta a rischio l’intera regione Campania.

In tal caso cosa prevede il Piano?

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