Rostagno, dopo 23 anni la verità sull’omicidio del giornalista

Omicidio giornalista Mauro Rostagno[highlight]Le condanne  di Vito Mazzara e Vincenzo Virga ristabiliscono la verità sull’omicidio di Mauro Rostagno ma lascia tanti interrogativi sui soliti mandanti occulti. [/highlight]

Dopo 23 anni dall’omicidio e tre anni dal processo il tribunale di Trapani ha condannato all’ergastolo Vito Mazzara e Vincenzo Virga per l’omicidio del giornalista e sociologo Mauro Rostagno.

Il giornalista nativo di Torino fu ucciso il 26 settembre 1988 a Lenzi di Valderice, in Sicilia, in un agguato mafioso deciso da Vincenzo Virga, boss del mandamento di Trapani ed eseguito da Vito Mazzara, sicario dello stesso clan.

I due sono già detenuti per una precedente condanna all’ergastolo.

Un giornalista impegnato

Mauro Rostagno era un giornalista e sociologo, tra i fondatori di Lotta continua e della comunità di meditazione e poi di recupero di tossicodipendenti Saman. Un personaggio scomodo, molto attivo politicamente e tra i leader dei movimenti di estrema sinistra. Oltre che Lotta Continua con Adriano Sofri, fondò anche Macondo (centro culturale di riferimento per l’estrema sinistra milanese).

A metà degli anni ottanta si trasferì in Sicilia, nel Trapanese, iniziò a lavorare come giornalista e conduttore per l’emittente televisiva locale Radio Tele Cine. In questi anni intensificò la sua attività di denuncia del malaffare locale indagando soprattutto sulle collusioni tra mafia, politica locale e logge massoniche.
Le sue inchieste non si limitavano, infatti, agli effetti locali dell’espansione della mafia trapanese ma, come anche sottolineato dal pubblico ministero, Francesco Del Bene, erano finalizzate a svelare il nuovo volto della mafia di Trapani e la sua trasformazione in organizzazione moderna e dinamica, alleata non solo con la “malapolitica” ma anche con la massoneria.
Rostagno aveva una visione proiettata al futuro e aveva colto l’evoluzione della criminalità organizzata trapanese. Proprio per questo era diventato un rompiscatole agli occhi dei boss, un “camurria” come l’aveva definito già Francesco Messina Denaro, padre del superlatitante Matteo Messina Denaro, oggi riconosciuto come capo della cupola mafiosa siciliana.

Fu ucciso a 46 anni in un agguato a poche centinaia di metri dalla sede della Saman, da alcuni uomini nascosti ai margini della strada.

Il processo ha avuto una vita travagliata e dopo anni di attese, depistaggi e difficoltà i giudici hanno ristabilito una verità scomoda, incompleta e con il solito ritardo tutto italiano che ha già precedenti purtroppo illustri.

Come non ricordare le tante memorie purtroppo prima ammazzate e poi emarginate: tra tutti, i casi di Peppino Impastato o di Giancarlo Siani, anch’essi vittime di un Paese indifferente, colluso e incastrato in logiche deviate.

Rostagno faceva parte di quella categoria di grandi uomini incapaci di sottostare a logiche perverse, che spinta dallo spirito indomito della ricerca della verità oltre ogni pericolo, è destinata a essere abbattuta dal sistema delle collusioni che da anni domina l’anima infangata del nostro Paese.

Quell’amore incondizionato per la verità che non arricchisce e non regala copertine in prima pagina, ma infanga il presente e la memoria e fa attendere anni prima che si ottenga giustizia.

Ma come nella buona tradizione nostrana la verità emersa è soltanto parziale.

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