Reali apparenze, il saggio breve di Vincenzo Peluso

[highlight]Il trionfo dell’apparire e le possibili vie d’uscita[/highlight]

Un tema del nostro tempo, il tema di tutti i tempi: il dualismo di forma e sostanza, la dialettica non risolta tra realtà e apparenza. Vincenzo Peluso, scrittore e docente di Lettere, autore del precedente romanzo breve “Ho sonno” (2014, Leonida Edizioni), si imbatte, con il suo saggio breve “Reali Apparenze”, (2015, Leonida Edizioni), nel sentiero dell’inestricabile rapporto tra essere e apparire in un modo nuovo, rivolto al passato, calato nel presente e proteso verso il futuro.

L’era dell’apparenza

Sembra, così, che venga restituita linfa vitale agli innumerevoli dibattiti su una dicotomia ben conosciuta, ma spesso affrontata in maniera sterile dalla società contemporanea. Come ogni impostazione dualistica anche quella appena menzionata presuppone, tra le sue molteplici possibilità di superamento, la riducibilità di uno dei due termini all’altro. Questo passaggio sembra essersi compiuto alla perfezione, dopo secoli di riflessioni, nella nostra era, l’era del trionfo indiscusso dell’apparire, delle convenzioni sociali, dell’omologazione sull’essenza delle cose. In altri termini, si tratta del reale ridotto all’apparire. Il problema è che una volta acclarato, continuamente dibattuto e assimilato questo dato di fatto la questione sembra essersi così conclusa, tanto da indurre i più a bollare come scontato l’argomento ogni qualvolta venga riproposto come fulcro di un dibattito, a priori dunque improduttivo.  Ma non è, forse, vero che ad ogni tematica è da attribuire la sua maggiore o minore, banale o innovativa portata a seconda del modo in cui viene considerata? Affrontando il tema con ingegnoso spirito creativo potrebbe profilarsi una soluzione inedita, capace di ribaltare la situazione o che, quanto meno, lasci trapelare possibili vie d’uscita dall’essere come la società impone per essere chi si è realmente.

La follia come chiave di accesso alla verità

Si fa ancor più pregnante, allora, la necessità di segnalare chi ha provato a fare ciò. L’autore, Peluso, e la sua creatura, il professor Solenghi, protagonista del saggio, sono accomunati, in fondo, da una stessa spinta, ossia dal consapevole tentativo di interpretare la realtà, di coglierla utilizzando l’invenzione, il primo attraverso il racconto una vicenda dei nostri giorni, il secondo mediante il rispolvero di un capolavoro della letteratura umanistica, “L’elogio della follia” di Erasmo da Rotterdam, reinterpretato e attualizzato con tanto di esperimenti pratici compiuti in prima persona. Ed è proprio la follia di erasmiana memoria a fare da autentica protagonista della storia. Si tratta di una follia intesa come mezzo per lo scioglimento della conflittualità tra reale e apparire, come possibilità, in prospettiva, di predominio del primo sul secondo, o semplicemente come via di fuga. Ma come fare, si chiede il professore precario ma non per questo rassegnato e sempre dedito all’elaborazione di innovativi e stimolanti percorsi formativi, per restituire ai suoi studenti quanto un autore d’altri tempi diceva in pagine, tuttavia, di grande attualità?  Provando egli stesso a smascherare le innumerevoli ipocrisie che otturano tutti i pori della società. Talvolta, proprio sovvertire la visione logico-razionale del mondo e partire dalla situazione limite dell’insensatezza, lasciandosi, insomma, andare a un atteggiamento un po’ folle, è il modo più efficace per scovare ciò che è occultato dalla falsità di rapporti sociali tutti apparenti, dai ruoli ben definiti del proprio piccolo mondo, da un prete di paese beneficiario più che benefattore a un sindaco dalle ammirevoli doti oratorie mostrate in discorsi menzogneri. Chi non ha mai desiderato, una volta nella vita, sfidare le apparenze per far crollare [quote]la macchina dei rapporti sociali[/quote]? chi non ha mai voluto oltrepassare il limite del perbenismo, di quella che è chiamata normalità? E l’arma più efficace per farlo sembra essere la follia in quanto chiave di accesso alla verità. D’altronde, come si dice, basterebbe un pizzico di follia per vivere più felicemente; ed è riconducibile a questo modo di dire ciò che Erasmo da Rotterdam voleva trasmettere: il liberarsi di paura e vergogna per svelare la verità offuscata da legami sociali stereotipati, regolati da formalismi da dover rispettare a tutti i costi, pena l’esclusione dalla comunità stessa o, forse, dal vivere secondo l’immagine che gli altri hanno di noi. È proprio questo il punto: bisognerebbe rendersi meno personaggi, ciascuno con la propria maschera da indossare al fine di salvaguardare relazioni dettate dall’interesse, per essere più persone, al di là della finzione imperante.

Sembra quasi, scorrendo le pagine del saggio, di avvertire una certa somiglianza di Solenghi con quel Don Chisciotte che, uscito fuori di senno dopo la lettura di testi cavallereschi, è in lotta continua per la libertà soggiogata. Il parallelismo sussiste anche riguardo alla scrittura, affidata, in Cervantes come in Peluso, a una chiara intenzionalità ironica volta, però, a far passare il messaggio secondo il quale la follia non è un modo per fantasticare negando la storia, ma un espediente attraverso il quale, anzi, criticare la storia, prenderne coscienza grazie al coraggio che infonde. È, insomma, una follia concepita non come incapacità di stare al mondo, ma come difesa contro i mostri del mondo, come volontà di recupero di valori assoluti e universali, non particolari.

Anarchia dei valori

Un ulteriore aspetto che emerge, infatti, dal saggio è il giudizio negativo rivolto all’odierna società, in particolare alle nuove generazioni immerse in un contesto di anarchia dei valori, di inquietudine, precarietà e generale degenerazione, impegnate come sono a scambiarsi futili notizie di ogni genere, mediante apparecchi tecnologici, senza soffermarsi a riflettere, a confrontarsi tra loro e con il passato per trarne insegnamenti o individuarne gli errori in vista del futuro. Ecco l’importanza di proporre un insegnamento critico, mai pedante, che non risulti un insieme di informazioni tramandate, imposte e acquisite passivamente, ma che sia ricco di stimoli come quello adottato dal professor Solenghi. La cultura, quella viva, diventa, così, il filo conduttore della storia umana, il mezzo per recuperare la storicità dell’uomo, per comprendere la propria posizione nella storia, ancora una volta in un rapporto continuo con un passato arricchito dal presente come base per la costruzione di un futuro più consapevole.

Rispolverare il passato può voler dire, ad esempio, incontrare “L’elogio della follia” e pensare che [quote]l’annullamento della forma e l’irruenza della sostanza[/quote] siano l’antidoto per eccellenza contro la barriera di abitudini che impedisce all’uomo di vedere le cose nella loro vera luce. Questo è il primo passo per il superamento del malessere e del disorientamento che non consentono all’uomo di oggi di riscoprire gli autentici valori, così come Vincenzo Peluso espone in questo imperdibile intreccio di filosofia, letteratura e vita.

“Reali apparenze”, con prefazione di Domenico Iannaco e introduzione di Luca Lo Sapio, è stato pubblicato a marzo 2015 da Leonida Edizioni. La presentazione del libro è avvenuta a maggio 2015, presso l’ABAN di Nola, con la partecipazione Marzio Honorato, attore nella fiction “Un posto al sole”. Vincenzo Peluso ha esposto il libro diverse volte su reti televisive e canali radio.

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