L’isola sotto il mare di Isabelle Allende

Se ve li siete persi” è la Rubrica dedicata alle opere di letteratura, con la quale ogni settimana proponiamo un libro da non perdere.

Un romanzo diviso tra storia, cronaca, e la figura di una donna che, nata schiava, acquista la sua libertà.

Da sempre appassionato della letteratura sudamericana, leggo sempre con favore libri figli questa cultura.
Tra i tanti autori un tributo doveroso lo faccio per Isabel Allende, scrittrice di grande talento narrativo, nata in Perù, ma cilena d’adozione.

Ho letto diversi romanzi della parente del compianto Salvador Allende. Da “La casa degli spiriti” a “Eva Luna”, da “D’amore e ombra” a “Eva Luna racconta”, da “Paula” al “ Il piano infinito”. Quindi non tutta la produzione della scrittrice, ma abbastanza per apprezzarne il valore.
Quindi, avere tra le mani, dopo alcuni anni dall’uscita per Feltrinelli editori, nel 2009, il romanzo “L’isola sotto il mare”, è stato un piacere, e soprattutto una lettura coinvolgente.

Il libro, a mio avviso, è anzitutto un ritratto efficace che una donna fa di un’altra donna. Un ritratto che rende onore a un tipo di donna nata schiava e che, con il suo temperamento, e il suo carattere determinato, riesce a vivere con dignità, in un mondo caratterizzato da prepotenze e ingiustizie.

Il libro, fondamentalmente, narra la storia di Zarité Sedella, una schiava nera, soprannominata Teté.
La vicenda è ambientata, per buona parte del libro, su un’isola caraibica, Santo Domingo, e poi in Louisiana, alla fine del secolo diciottesimo.
La storia narra le vicende di questa donna, che a 9 anni viene venduta ad un francese trasferitosi nei caraibi. Toulouse Valmorain, ricco proprietario terriero, nonché di piantagioni di canne da zucchero. Questa giovane donna, violentata dal suo padrone da cui avrà una figlia, aiutata dal suo temperamento, e da un grande senso di dignità, riesce a sopravvivere ai comportamenti miserevoli di questi padroni bianchi, segnati da situazioni familiari particolari, e da una invadente presenza di cortigiane. Teté si innamora di uno schiavo che, assieme ad altri, si ribella alle prepotenze e alle angherie dei padroni bianchi. Queste ribellioni, con il tempo, porteranno alla creazione della prima repubblica nera indipendente, Haiti.

L’autrice riesce, in molte pagine presenti nel libro, a descrivere, in qualche caso anche minuziosamente, le condizioni di quelle popolazioni indigene, le loro condizioni di schiavitù, gli stupri perpetrati, le frustate, i lavori forzati, i roghi appiccati per punire, ecc.
Attraverso Teté l’Allende ci porta dentro un mondo segnato da tutte queste brutture, questi eventi.
Allende ci fa entrare, anche, dentro le abitazioni di questi ricchi e prepotenti colonizzatori. E lo fa facendoci entrare, ed è la grandezza della scrittrice sudamericana, attraverso gli occhi di questa schiava, attraverso la sua dignitosa sofferenza.
Teté da’ anche una lezione d’amore per un uomo ma, soprattutto, per i figli nati da una violenza subita.

Il libro ha anche il merito di presentarci altri personaggi, sicuramente secondari, con le loro storie segnate da sentimenti, passioni, amore, libertà.
Su tutta la vicenda, comunque, si erge il ritratto di Teté, una donna dignitosamente consapevole della sua condizione, e che la porterà ad acquistare, con l’aiuto di un prete particolare, la agognata libertà.

Un libro, dunque, da leggere per saggiare il talento di una scrittrice che, probabilmente, è tra le più lette del panorama della letteratura internazionale.

Un romanzo diviso tra storia, cronaca, e la figura di una donna che, nata schiava, acquista la sua libertà.

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