Real-Barça, il “clasico” tra calcio e politica

[highlight]Questa sera la sfida al Bernabeu. Ma perché tanta rivalità? Tutte le differenze tra Real e Barça, Castiglia e Catalogna: la fedeltà alla Corona e la voglia d’indipendenza[/highlight]

Ci risiamo. Oggi, 23 marzo, ore 21, al Santiago Bernabeu andrà in scena l’ennesimo atto della rivalità calcistica (e non solo) più accesa d’Europa. Ancora una volta, Real Madrid e Barcellona si affronteranno per il titolo.

Staccate in classifica da soli 4 punti (con la squadra di Ancelotti capolista), ma divise su tutto il resto, dentro e fuori al campo.

Bienvenido al clasico. Benvingut al classic. E già dall’accoglienza si capisce che tra Madrid e Barcellona non passano solo 628 km, ma un mondo. Il castigliano e il catalano. La destra e la sinistra. La fedeltà alla Corona e la voglia d’indipendenza. Un elenco di contrapposizioni infinito che, se continuasse, andrebbe inevitabilmente a sfociare nelle ovvietà del giorno e la notte, il bianco e il nero, ecc. ecc. Ma non è possibile con Madrid e Barcellona sfociare nell’ovvietà.

Perché Real e Barça sono gli opposti che non si attraggono, ma si attaccano.

Sono la perfetta trasposizione sportiva di una rivalità che nasce e cresce fuori dal campo e che, ogni anno, puntualmente si inasprisce nell’atmosfera di uno stadio.

Ma c’è qualcosa che accomuna queste due squadre? Certo. Il DNA vincente e il gusto per lo spettacolo. Due obiettivi condivisi e inseguiti mediante politiche societarie totalmente agli antipodi. Il Barcellona, da Guardiola in poi, ha avviato un progetto unico al mondo, basato sulla Masia e sulla piena fiducia nei giovani dell’ormai famosa e invidiata “cantera” a cui si aggiungono, ogni estate, alcuni colpi di mercato milionari (Ibrahimovic, Villa, Neymar).
Il Real, invece, è noto per le sue campagne acquisti “galattiche”, che spesso portano la firma di Florentino Pérez. A la Casa Blanca, infatti, da Zidane a Bale l’unica cosa che è cambiata è la valuta. Solo nelle ultime due stagioni, forse per seguire l’esempio vincente dei rivali, anche nella capitale si sta dando più fiducia ai giovani del vivaio (Morata, Jesè, Nacho).

Ma la rivalità e le differenze tra le due squadre sono nulla rispetto alle questioni politiche che da sempre dividono le due Regioni che rappresentano: la Castiglia e la Catalogna.

Le tensioni tra queste due parti della Spagna, infatti, vanno ben oltre il calcio e risalgono all’epoca medievale, quando ancora il pallone non era neanche nei pensieri dei bambini più fantasiosi.

Tuttavia, in età moderna (e in ambito calcistico), questa rivalità si è acuita in seguito alla guerra civile e durante la dittatura di Francisco Franco.
E’ in quegli anni che il Real si aggiudica l’appellativo di “squadra del regime”, con i tifosi del Barça che accusano i rivali di ottenere le loro vittorie solo grazie all’appoggio della dittatura. Ancora oggi i madridisti si oppongono a questa nomea “scaricando” tutte le accuse sui cugini dell’Atletico (la squadra del governo che, prima dell’ascesa di Franco, militava in seconda divisione; l’anno successivo vinse il titolo nazionale). Inoltre, i tifosi del Real tengono a ricordare a quelli del Barça che nel periodo della dittatura (1939-1975), la loro squadra vince più trofei delle merengues (64 a 62).
Quel che è certo, comunque, è che per i dirigenti di entrambe le società, quello franchista, non è un periodo facile (la prigionia e la tortura del presidente del Real, Rafael Sanchez Guerra, un repubblicano, ne è un esempio).

Finita la dittatura, per fortuna, gli animi sembrano calmarsi. Almeno in campo, dove i motivi di astio sono legati per lo più a storie di calcio, come il trasferimento di Figo dal Barcellona al Real, tra anni ’90 e 2000.

Nelle ultime stagioni, però, il clima è tornato incandescente. Se in campo la rivalità tra Guardiola e Mourinho si traduce in sfide epiche quanto tese, fuori la spinta degli indipendentisti catalani cresce sempre di più e spesso si sfoga proprio nel “clasico”.

Intanto, la nazionale spagnola comincia a vincere i suoi primi trofei internazionali, grazie soprattutto all’ossatura catalana e alla filosofia calcistica del Barcellona. Il primo Mondiale vinto dalle Furie Rosse porta l’indelebile firma di Andrés Iniesta, accolto poi in tutti gli stadi della Liga da standing ovation di gratitudine. Nonostante ciò, solidarietà e sportività non trovano spazio accanto alla primordiale voglia di secessione catalana.

Ora più che mai, in Spagna più che altrove, il calcio va di pari passo con la politica. Lo scorso dicembre, tre partiti catalani indicono un referendum per l’indipendenza politica della Catalogna che si voterà il 9 novembre prossimo, ma che il governo di Madrid ha già definito “incostituzionale”.

In attesa di un evento che potrebbe segnare una svolta definitiva nella storia della Spagna, Madrid e Barcellona trattengono il respiro, almeno per novanta minuti.

Tutti fermi, tutti zitti: c’è il clasico.

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