Vesuvio, rischio e sviluppo

[highlight]Per far fronte ad un rischio geologico molto elevato, la Regione Campania necessiterebbe di una politica della prevenzione che sostituisca quella del rattoppo. Ma le scelte compiute dai governanti vanno in tutt’altra direzione[/highlight]


La Televisione mostra quotidianamente la fragilità delle città, delle infrastrutture, delle vie di comunicazione dei territori investiti da fenomeni naturali intensi come terremoti, tsunami, inondazioni, eruzioni. In Campania si hanno esperienze tragiche di terremoti, dissesti idrogeologici diffusi, bradisismo e si teme una futura eruzione del Vesuvio, senza dimenticare i Campi Flegrei e Ischia.

Tutto ciò è ben noto alle autorità che governano il territorio, dal livello comunale a quello regionale, e il Dipartimento di Protezione Civile non fa mistero della pericolosità potenziale di possibili eruzioni, tanto da attivare una commissione di esperti per approntare piani dedicati a queste aree. Da alcuni mesi è stato ufficializzato il Piano per l’area vesuviana, e si è in attesa di quello per i Campi Flegrei.
La Regione Campania in questi anni ha mostrato una certa attenzione alla mitigazione dei rischi naturali (sismico, vulcanico, idrogeologico), ma l’impegno è apparso largamente insufficiente alle dimensioni del problema. La sicurezza del territorio è la base sulla quale va costruito lo sviluppo.

Una politica della prevenzione deve sostituire quella del rattoppo del disastro o dell’emergenza che ha caratterizzato il trentennio del post-terremoto dell’Irpinia. E’ dimostrato, infatti, che la politica della prevenzione non solo produce un risultato positivo dal punto di vista sociale, in quanto garantisce sicurezza alla comunità esposta al rischio, ma risulta anche un buon affare perché costa molto meno di un intervento post-catastrofe.
Per gli elementi tecnici e socio-economici indicati ci si poteva aspettare che la Regione avesse scelto un percorso di buone pratiche per la soluzione dei problemi dei rischi naturali, utilizzando una fetta cospicua dei fondi strutturali europei 2007-2013 per il potenziamento di un Polo sulla difesa del suolo. Invece la Regione ha scelto altre priorità. Infatti con uno stanziamento di 55 milioni di euro si procederà alla realizzazione di strutture didattiche per un politecnico (il vecchio annuncio del Politecnico Gioacchino Murat di Berlusconi?) all’ex stabilimento Cirio di San Giovanni a Teduccio e ai laboratori del nuovo polo materiali e del polo biotecnologico del CNR.

Questa scelta che vede il settore difesa del suolo recitare la parte di cenerentola rispetto ai più robusti settori accademici, mostra che nei centri decisionali della nostra regione prevalgono posizioni culturali conservatrici caratterizzate da scarsa attenzione al valore socio-economico della componente naturale del territorio.
La Regione Campania produce per l’area vesuviana scelte contraddittorie; da un canto condivide la classificazione di territorio ad alto rischio vulcanico per l’area vesuviana e zone circostanti e, dall’altro, realizza o potenzia strutture di formazione universitaria e centri di ricerca che prevedono nuove infrastrutture e flussi consistenti di operatori e fruitori delle stesse, incrementando ulteriormente il rischio.

Il territorio non deve essere ingessato per la pericolosità del vulcano, ma allo stesso tempo intervenire sul territorio senza tener conto che una tale scelta contribuisca ad accrescere il rischio è inaccettabile.

Esiste un modello di sviluppo dell’area vesuviana in sicurezza?

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