L’autodistruzione del PD, tra tessere false e ideali svenduti

[highlight]Dopo gli scandali degli ultimi giorni, ad un mese dalle primarie, urge nel PD una discussione seria sulla sua evoluzione[/highlight]


Le primarie si stanno dimostrando il più micidiale strumento di autodistruzione del Partito Democratico, stando alle notizie che si susseguono nelle cronache politiche e gli avvenimenti, a dir poco penosi, ai quali in questi giorni assiste attonita l’opinione pubblica e pieno di rabbia l’elettorato di quel Partito, già messo a dura prova da esperienze precedenti.

Episodi di malcostume e di “privatizzazione” del PD da parte di vari potentati si sono verificati praticamente in tutta Italia, ma come (purtroppo!) sempre avviene, il Mezzogiorno e la Campania anche in questa occasione hanno conquistato il primato. In Campania in particolare, e nella provincia di Napoli specialmente, si sono registrati fatti inquietanti, prossimi alla più eclatante illegalità e compromissori del più elementare esercizio democratico, che dovrebbe rappresentare il bene inalienabile di ogni militante di partito: disseminazione di sedi improvvisate, migliaia di tessere dichiarate all’ultimo momento, sopraffazioni contro singoli, applicazione delle regole rivolte al proprio utile, ricorso a forze esterne, impiego di elettori con tessere pagati da notabili, chi più ne ha più ne metta.
In solo pochi giorni ed a poche ore dalle primarie, il PD napoletano, normalmente sonnecchiante e politicamente assente a tutti i livelli istituzionali, tranne che per una discutibile e inutile iniziativa relativa al cosiddetto referendum sull’attività dell’Amministrazione comunale di Napoli, ha visto crescere i propri iscritti da 20 a 40mila, praticamente un miracolo, già verificatosi in altri momenti, al quale tuttavia consegue normalmente un risultato elettorale tra i peggiori d’Italia, che fa del PD napoletano una forza residuale, soprattutto nel capoluogo.
Dietro gli episodi denunciati, cui spesso sono seguite minacce a chi li contesta, i soliti noti: ex sindaci, ex parlamentari, ex assessori, ex pigliatutto disposti ad ogni manovra, in una rincorsa a coprire posizioni, a controllare spostamenti e dislocazione di gruppi e orientamenti, ad allearsi con forze spurie ed esterne al partito, a dichiararsi custodi della tradizione della sinistra e nel concreto a muoversi per emarginare le forze della sinistra, a schierarsi volta a volta con i cosiddetti conservatori e con i cosiddetti riformatori, fino a sostenere il radicale rinnovamento del partito, rappresentandone nei fatti la parte più pervicacemente resistente ad ogni cambiamento.

E’ evidente che queste forze agiscono consapevolmente contro il Partito, avendo ormai ampiamente sperimentato che ad ogni azione svolta nelle modalità denunciate, corrispondono quasi sistematicamente un calo di voti e l’allontanamento di intelligenze che potrebbero offrire significativi contributi al conseguimento di una maggiore qualità dell’offerta politica e al miglioramento della vita stessa del partito. Ed è altrettanto evidente che se il PD non trova innanzi tutto in se stesso la capacità e la volontà di un vera e propria revisione del proprio modo di essere e di agire, i fenomeni degenerativi tenderanno ad ampliarsi ed a creare una condizione irreversibile, in fondo alla quale ci sarà un altro partito, senza ideali, senza regole, senza un vero e credibile progetto di cambiamento di se stesso e della società; e sarà semplicemente un partito di notabili e arrivisti alla ricerca del proprio tornaconto.

Intanto, vorremmo dare un consiglio al PD napoletano, partendo dal fallimento del referendum proposto sull’attività dell’Amministrazione comunale: che promuova un referendum rivolto ai propri iscritti e alla società civile, ponendo se stesso al centro del quesito referendario. Come dire “che pensate del PD napoletano e della sua azione?”. Sarebbe un primo, importante passo per cominciare a conoscere se stessi attraverso il giudizio degli altri, come dovrebbe e deve essere per chi pretende di fare politica.
E nelle stesso tempo, ci auguriamo che quanti vogliano riflettere seriamente sull’evoluzione del Partito Democratico, si pongano il problema dell’utilità delle cosiddette primarie, che fino ad oggi hanno dato due precisi segnali: di essere un moltiplicatore della degenerazione e l’alibi di un gruppo dirigente incapace di assumersi le proprie responsabilità. Guglielmo Epifani, all’indomani della sua elezione a segretario, ha posto timidamente il problema, poi subito ritirato.

E’ ora di riprenderlo, con urgenza e senza infingimenti.

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