Identità in pericolo per le falle del sistema giudiziario italiano

[highlight] Furto d’identità, l’assurda vicenda di Anna Paglialonga, colpevole di omonimia[/highlight]


Un giorno qualunque di una persona qualunque: solito tran tran, soliti impegni, la vita di tutti i giorni e poi, in un attimo, tutto cambia.

Una coincidenza, un caso di omonimia. Essere la persona sbagliata al momento sbagliato.

Persone incolpevoli sbattute in prima pagina come mostri, a causa di una perizia sbagliata e di indagini fatte in fretta. Magari prelevate dalle loro abitazioni, anche nel cuore della notte, e portate in carcere senza troppe spiegazioni.

Il dolore di essere innocenti e non essere creduti, di essere vittime di un errore giudiziario, costretti a subire dei processi infiniti dalle facili archiviazioni, casi in cui la certezza della pena ha trovato una dubbia applicazione.

È pur vero che le frodi creditizie o azioni fraudolenti legate al furto d’identità sono in aumento e che tutti sono in grado di affermare la propria innocenza.

Ma le indaginiLe proveDov’è la giustizia in questi casi?

Ecco le domande che si pongono le persone dalle identità rubate nel momento in cui sentono alle spalle il silenzio assordante delle fredde celle che li attendono. Silenzio che riecheggerà per sempre nelle loro menti, un silenzio che più nessuno romperà.

La prima vittima di errore giudiziario di cui raccontiamo la storia è Anna Paglialonga, donna che all’epoca dei fatti ha 48 anni, vive a Capua e lavora al Sert.

Il 21 aprile del 2008, Anna è stata arrestata con un’accusa infamante: aver aiutato un camorrista a uscire di prigione.

In quella giornata, gli uomini della Procura di Caserta hanno eseguito 23 ordinanze di custodia cautelare verso alcuni componenti del clan Belforte. Di cosa viene accusata Anna e perché proprio lei?

Un collaboratore di giustizia, un pentito, afferma:

Il documento l’ha fatto firmare una certa Annarella”, senza aggiungere altro a questo nomignolo.

Nel Sert di Capua ci sono altre quattro donne che si chiamano Anna, ma i poliziotti prelevano direttamente la Paglialonga.

Solo che sorge un problema: la donna, nel giorno fatidico della fuga del camorrista, si trovava in viaggio con il compagno Enzo De Camillis, in Portogallo. Ma al momento dell’arresto, non riesce a presentare le prove che la scagionerebbero senza dubbio, e Anna Paglialonga viene così trasferita nella casa circondariale femminile di Pozzuoli, in provincia di Napoli.

Lì la donna trova la solidarietà delle altre detenute. In un intervista (in dialetto nell’originale, qui adattata all’italiano), Anna racconta:

[quote]Ho pianto giorno e notte. Non riuscivo a spiegarmi il perché del mio arresto. La mia compagna di cella mi ripeteva: “Nenne’ tu non devi piangere, altrimenti ci fai intristire anche a noi, tutte abbiamo i guai nostri. Ricordati che se sei innocente tu da qua dentro te ne esci”. L’ho sentito dire tante di quelle volte che alle fine ci ho creduto ed è per questo che ho lottato per tornare dalla mia famiglia. Ma una cosa che non dimenticherò mai è il rumore delle mandate dietro di me.[/quote]

L’amicizia con le altre detenute ha reso Anna più forte e l’ha aiutata a combattere per la sua scarcerazione.

In quei 19 giorni da incubo, il suo compagno ha cercato tutte le prove per dimostrare la realtà dei fatti. Riesce così a racimolare file di foto, documenti, biglietti aeroportuali, e decide di girare un documentario per palesare l’innocenza della sua compagna. Al giudice viene mostrato il video e finalmente le nubi sembrano iniziare a dissiparsi, per Anna.

Il 9 maggio 2008, Anna può di nuovo abbracciare il suo Enzo e la sua amata figlia. Ma prima di avere la sentenza di assoluzione definitiva devono passare altri quattro anni.

Una vicenda drammatica e paradossale, ma che pone l’accento su uno dei problemi della giustizia in Italia. E, purtroppo, nessuno restituirà la dignità a coloro ai quali è stata negata.


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