Tecnologia: una scorpacciata di password

[highlight]Annunciata dalla Motorola, arriva la password in pillola[/highlight]


È altissimo il numero di password che, ogni giorno, i PC o gli Smartphone chiedono di inserire per l’autenticazione. Per difendere al meglio i propri dati, viene spesso consigliato di inserire chiavi di accesso sempre diverse e complesse. Sembra però che tutto ciò possa essere vanificato: durante un esperimento portato avanti dal sito americano Ars Technica, è stata infatti ingaggiata una squadra di hacker per crackare circa 16mila password. Il risultato? Quasi 15mila quelle violate dai pirati durante il test.

Allora, come si possono rendere inaccessibili i dati d’accesso? La risposta arriva dalla Vicepresidente di Motorola MobilityRegina Dugan, ex direttrice della DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), durante la D11 Conference di Palos Verde, in California: la password in pillola.

Prodotta dalla Proteus Digital Health, società specializzata nella ricerca di soluzioni di alta tecnologia in ambito sanitario, la pillola fa gola a Motorola, ora gestita da Google, impegnata nella ricerca di sistemi alternativi per rivoluzionare le modalità di accesso degli utenti.

La bizzarra password è in pratica una pillola con all’interno un chip che, utilizzando lo stomaco come un elettrolita, emette un segnale a 18 bit trasmissibile al contatto, in grado di far autenticare l’utente da un laptop, uno smartphone o qualsiasi altro dispositivo di lettura predisposto, e controllare la propria mailbox, accedere al bancomat o imbarcarsi in aereo. Inoltre, alcuni tipi di sensori commestibili hanno già ricevuto l’approvazione della Food and Drugs Administration negli USA.

Non solo password quindi, ma un’identificazione proiettata all’utilizzo di una gran quantità di servizi, che potranno sfruttare il corpo umano come elemento essenziale di accesso, rientrando in un sistema di ricerca ben più ampio. Ad esempio Alitalia, per i propri clienti Millemiglia, ha avviato un processo che renderà possibile imbarcarsi utilizzando le proprie impronte digitali. Il progetto si chiama “Fast Boarding”: chi aderisce riceve una smart-card a radiofrequenza, nel cui chip viene inserito il template delle impronte per consentire così l’identificazione al gate d’imbarco.

«Il problema principe è come proteggere i dati ed evitare scivoloni come quelli fatti durante le sperimentazioni per le Carte d’identità elettroniche, dove molte informazioni non erano crittografate ed erano rimaste in chiaro», racconta Massimo Tistarelli, Phd in Computer Science ed Electronic Engineering, nonché ordinario di Sistemi di elaborazione delle informazioni all’Università di Sassari. «Quanto al resto, le ricadute possono essere davvero decine. Non solo per sorveglianza e sicurezza, come tendono a fare i governi, ma per snellire anche le più banali procedure quotidiane».

Insomma, con tali processi sarà possibile “pagare merci e servizi nei negozi, identificarsi quando necessario, ottenere accesso ai servizi pubblici, tutto l’universo dei servizi ad personam come ospedali e cartelle mediche e acquistare farmaci, spedire corrispondenza”.

Sembra essere l’inizio di un processo che potrebbe rendere il mondo dei servizi più immediato e sicuro, anche se i problemi in merito restano aperti e numerosi.


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