Bouldering: la naturalezza di uno sport estremo

[highlight]Bouldering: Sentirsi liberi avendo il controllo totale[/highlight]


Il bouldering è un particolare tipo di arrampicata libera su grossi massi di altezza compresa tra i 3 e i 4 metri, che si pratica senza assicurazione (imbracature e strumenti per facilitare la salita) ma solo con l’ausilio di crush-pad, ovvero materassini per attutire le cadute, e spotter, compagni di arrampicata che dal basso seguono i movimenti dell’arrampicatore, pronti a pararne una caduta e a suggerire nuove linee e passaggi.

Da qualche anno esistono competizioni – nazionali, ma anche europee e mondiali – che si svolgono però indoor, su strutture artificiali. Durante un allenamento, ogni percorso rappresenta un “problema”; e come in ogni problema che si rispetti, le vie che portano alla risoluzione sono molteplici, anche se il risultato è unico. A volte, ad esempio, per vedere una soluzione o una nuova linea, nell’arrampicata come nella vita, c’è bisogno di ripetere i percorsi e aprire la mente per trovarne di nuovi.

Si tratta di pochi movimenti precisi e sicuri, da eseguire guidati dagli spigoli e dalle insenature di una parete rocciosa con la quale fondersi per sentirsi tutt’uno con la Natura.

Così, si ripetono dei movimenti e delle prese , un po’ per gioco, un po’ per allenamento, e si abitua il corpo a compiere gesti che diventano degli automatismi e, a mano a mano, si acquista consapevolezza e ritmo.

Perché c’è assolutamente bisogno di ritmo, per compiere questa attività. Un po’ come in una danza, l’equilibrio dei movimenti trasforma quello che a un occhio esterno potrebbe sembrare solo uno sforzo in una dinamica armonica.

Vedere questi atleti mentre tendono i muscoli, oscillando a metà tra una presa e l’altra, richiama alla mente i gesti dei bambini, che compiono imprese ardite sotto gli occhi dei genitori e a volte si lanciano in arrampicate improvvisate, magari alla ricerca di un giocattolo o di un biscotto.

Il bouldering, a un tratto, somiglia perciò meno a uno sport meno estremo; possiamo anzi considerarlo quasi una naturale propensione dell’uomo a usare il corpo per cimentarsi in un esercizio che connette logica e muscoli. Una volta arrivati alla fine del problema e afferrata la soluzione, sia in senso metaforico che pratico, in piedi sul masso finale con le mani sporche di magnesite, l’atleta può quindi fare un grande respiro, rilassarsi e riflettere, con lo sguardo rivolto verso l’orizzonte, su quanto ci si possa sentire vivi , liberi e consapevoli avendo il pieno controllo di sé.


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