ICT: quando a mancare sono i lavoratori e non il lavoro

[highlight]C’è disoccupazione, eppure migliaia di posti di lavoro restano vacanti per mancanza di competenze [/highlight]

Questo il quadro che viene fuori dallo studio condotto da Modis Italia, una divisione di Adecco Italia specializzata nel settore dell’Information and Communication Technology, che ha pubblicato due giorni fa il White Paper Digital Mismatch, ovvero un’analisi del mercato del lavoro nel settore ICT, nel nostro paese.

15.000 posti di lavoro creati nel solo 2013, più della metà dei quali a tempo indeterminato. Numeri importanti, segno di un settore solido e robusto; ciò nonostante, le aziende hanno difficoltà a reperire personale adeguatamente formato e preparato, generando quello che potremmo definire un paradosso: con un livello di disoccupazione record, in particolare quella giovanile, migliaia di posti di lavoro rimangono vacanti a causa della mancanza di lavoratori.

Come si può leggere nel White Paper di Modis Italia, «il 22% delle assunzioni risulta di difficile reperimento e il tempo medio per reclutare una professionalità di questo tipo è di circa 4 mesi».

Anche se in leggero calo rispetto all’anno scorso, il settore ICT riesce ancora a resistere alla crisi, ma le esigenze di personale cambiano rapidamente, per ovvie ragioni di avanzamento delle tecnologie, e questo crea forse maggiori disagi rispetto alle difficoltà economiche delle aziende.

Le competenze richieste ai candidati sono sempre più tecniche, specifiche, ma in Italia solo 1 neolaureato su 20 riesce a intercettare le esigenze di chi offre lavoro. Le cause di questa distanza tra l’offerta e la domanda di lavoro è da ricercare, evidentemente, in un’offerta formativa universitaria inadeguata, obsoleta, incapace di aggiornarsi e di tenere il passo con le continue evoluzioni del settore. A questo va aggiunta la scarsissima diffusione della conoscenza fluente di almeno una lingua straniera, in particolare l’inglese, che rappresenta un’ostacolo enorme, in particolare per un entry level.

Il punto massimo di “schizofrenia” nel nostro Paese si è raggiunto con la progressiva diminuzione delle iscrizioni alle Facoltà di Informatica e Ingegneria Informatica, in un momento storico in cui i settori economici tradizionali e le professioni socialmente più ambite – avvocati, commercialisti, architetti – vivono una crisi profonda e lontana dall’essere superata. Insomma, i giovani italiani preferiscono compiere studi universitari in settori nei quali non avranno opportunità di lavoro futuro invece di acquisire competenze specifiche per soddisfare le richieste da parte di aziende che, invece, hanno una grande necessità di personale qualificato.

Sando al rapporto Modis, infatti, sono proprio i più giovani a rappresentare la categoria maggiormente coinvolta dalle assunzioni nel settore ICT – il 33,9% tra i 25 e i 29 anni; il 22,9% tra i 30 e i 44 anni – perché in possesso di competenze mirate e per la naturale propensione alle nuove tecnologie, in particolare tra i ragazzi appartenenti alla cosiddetta generazione dei Millenials, ovvero quelli nati dopo il 1980, altrimenti noti come “nativi digitali”

Sebbene importante, l’aver conseguito una laurea non garantisce maggiori opportunità ai candidati, visto che tra i dipendenti del settore ICT il 49,5% è in possesso del solo diploma di maturità, contro il 47,8% di laureati.

Un’ulteriore dimostrazione, questa, del fatto che a fare la differenza nella ricerca di un’occupazione sono le reali competenze acquisite, non solo i famosi “pezzi di carta”.

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