L’affare Mondadori-Rizzoli

[highlight]Il matrimonio tra le due case editrici presenta molti pericoli. Vediamo quali.[/highlight]

Che la notizia dell’offerta di acquisizione della Rizzoli (Rcs libri) da parte della Mondadori sia una notizia pericolosa sembra confermarlo implicitamente lo stesso timore espresso da Mondadori in merito a un’eventuale multa dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’Antitrust) che l’accordo potrebbe comportare per Mondadori. RSC Libri comprende, infatti, importanti case editrici fra cui Rizzoli, Fabbri e Sonzogno, dunque la nascente casa editrice, frutto del matrimonio tra i due soggetti, porterebbe al possesso del 40% circa del mercato editoriale, compromettendo così la libera concorrenza. Se l’affare andasse in porto non ci sarebbe dubbio alcuno riguardo l’ergersi nel settore librario italiano di un colosso tanto potente da non lasciar spazio ad altre voci in capitolo.
Contrastanti sono i pareri in merito alla questione, ma prevalenti quelli che si oppongono all’accordo, provenienti soprattutto dai veri protagonisti del settore editoriale: gli scrittori. Netta è la posizione di Umberto Eco che si espone sottolineando quanto un gruppo talmente potente possa minacciare la libertà d’espressione. In un contesto di libero mercato inevitabili sono spesso le concentrazioni economiche, eppure, quando si tenta di porre un freno a questa dinamica necessaria, il sistema rimane sano e ancora è possibile una concorrenza tra concentrazioni diverse.

Inoltre, sembra il caso di aggiungere che il lavoro dell’editore consiste principalmente nel costruire un catalogo e un’identità editoriale, espressione della tradizione che caratterizza una determinata casa editrice e che consente, in un panorama vario, l’offerta di diverse proposte nell’intento di garantire libertà d’espressione dalla parte degli scrittori e libertà di consumo dalla parte dei lettori. Riunire indifferentemente tradizioni diverse sotto uno stesso marchio implica la perdita di ogni punto di vista differente e la perdita di ciò che ognuno di essi voleva trasmettere. Infine, conseguenza correlata alla prima, ridurre la concorrenza rischia sempre più di ridurre la qualità: non è importante ciò che si scrive, il fornitore è unico e ineguagliabile, dunque i guadagni arriveranno ugualmente.

Sul fronte opposto si schierano i sostenitori dell’accordo che utilizzano come argomentazione la convinzione che in futuro nasceranno gruppi editoriali sempre più grandi. Si tratterebbe di uno sbocco inevitabile del quale tuttavia non doversi preoccupare nè al quale è necessario opporsi, in quanto la competizione europea e mondiale si gioca, ormai, tra colossi dell’editoria, ai quali si affiancano case editrici più piccole. Sorge il dubbio che, se è destinata a soccombere la galassia della piccola editoria, vivacissima culturalmente ma altrettanto debole economicamente, in funzione della costruzione di edifici colossali sempre più in grado di inglobare al proprio interno la concorrenza e di adeguare dunque non solo la forma ma soprattutto il contenuto di ogni tradizione editoriale al proprio stile, più che parlare di colossi dell’editoria si dovrà parlare di finanziamento di un pensiero unico vigente. Ovviamente, lungi dal descrivere questa operazione come una manovra autoritaria, indice di una messa a punto dei preoccupanti effetti sopra menzionati, c’è Marina Berlusconi, dirigente di Mondadori, che non vede l’ora di controllare la metà della produzione libraria italiana.

 

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