Un buco nell’acqua

[highlight]Il trionfo delle astensioni è un clamoroso buco nell’acqua degli italiani[/highlight]

Un clamoroso buco nell’acqua. E il colmo è che non è opera delle trivelle (termine usato tra l’altro in maniera impropria per tutto l’arco della campagna referendaria). Il buco nell’acqua lo ha scavato l’elettorato, passivo e remissivo, d’Italia. Ha vinto Renzi, ha perso la democrazia, hanno vinto gli interessi dei petrolieri… Questa è solo retorica. Inutile, banale, insensata e infruttuosa retorica. La realtà è che bisogna valutare la “qualità” della grave malattia che sta infettando da decenni il popolo italiano: l’astensionismo. Un’infezione del nuovo millennio, che si sta diffondendo in maniera sempre più capillare in tutto il Paese (e i numeri che hanno “portato” Renzi al governo parlano chiaro in questo senso). I dati che fuoriescono dall’ultimo referendum creano uno scoraggiamento spaventoso, che va a discapito soprattutto dei giovani che si stanno affacciando ora alle questioni politiche del loro Paese.

A prescindere dalle “trivelle”, a prescindere dal sistema energetico da adottare o meno, dalla bellezza del nostro mare violentato e macchiato dagli interessi e dalla negligenza. Il senso del Sì non è stato colto da molti: non si trattava solo del mare e delle 12 miglia, e il fatto che alcune testate continuino giustamente a segnalare incidenti dovuti all’attuale sistema energetico che avvengono proprio mentre la gente è chiamata a votare (o meglio, a non votare) lo testimonia. Tuttavia, i commenti a tali segnalazioni lasciano intendere altrettanto facilmente che il senso del Sì non è stato colto in maniera molto chiara, anche a causa di una campagna referendaria tardiva, frettolosa e quasi personale, fatta più di hashtag che di contatto umano.

Ma ciò che fa preoccupare di più è sempre il dato dell’astensione: non solo non è stato colto il senso del referendum, molti italiani hanno addirittura perso il senso del voto e del diritto ad esso legato. Chi non è andato a votare domenica, chi non va a votare da anni (e magari se ne vanta) è responsabile delle condizioni in cui si trova l’Italia oggi, tanto quanto quegli odiosi “politici-ladri” contro cui inveiamo a tavola davanti ai nostri piatti caldi. È responsabile delle condizioni di precarietà, difficoltà o perenne disoccupazione dei propri figli e dei figli degli altri.

La nuova generazione è criticabile e criticata, è vero. Ciò che non si considera, però, è una sorta di attenuante molto seria: quella che critichiamo tanto non è sicuramente la generazione che ha avuto il miglior esempio da seguire. I grandi modelli del passato sono lontani, i padri costituenti che sempre più spesso si sentono nominare hanno più le sembianze di fantasmi vaganti che di persone che sono state reali, fatte di carne e ossa. La Storia è una strega che ogni tanto vola sulle nostre teste, ma sempre in maniera evanescente, i partigiani… i partigiani – dicono – pare che siano degli eroi, che qualcuno però vuole continuare a tener soppressi in striminzite pagine di libri. Gli esempi che le nuove generazioni hanno davanti agli occhi, concretamente, ogni giorno sono l’esatto contrario di quelli che tanto decantano gli ipocriti divoratori della Repubblica, politici e cittadini. Il risultato? Un’Italia inetta e pigra, lamentosa e insopportabile. Nei giovani e nei meno giovani.

Il risultato? Tutti a casa, comodi. Magari ad ascoltare le parole del Premier che, alle 23 in punto del 17 aprile, già gongola in diretta sul Tg nazionale. Parlando di “vittoria dei lavoratori!”

Ebbene sì, la vittoria dell’astensionismo è diventata in un istante la vittoria dei lavoratori. Non del petrolio, dei petrolieri e, per carità, non del governo. Perché questo governo pensa soprattutto ai lavoratori. Quindi, il prossimo lavoratore che finirà in mezzo alla strada, che perderà il posto di lavoro a causa di plateali errori commessi nel recente passato, è legittimato a chiederne conto direttamente al Presidente del Consiglio, magari chiedendo con cortesia ed educazione: “Perché io non sono stato difeso? Dov’è la mia vittoria?”

Ma a che serve? L’opposizione ha torto ad affermare che l’Italia non è più una democrazia o cose simili. È vero il contrario. Siamo in democrazia, e i governi degli ultimi vent’anni stanno continuando a rispecchiare e a marciare sulle caratteristiche più evidenti di gran parte della popolazione: inettitudine e lassismo. A vincere è stata ancora una volta la grande dominatrice degli ultimi decenni: l’antipolitica, il mostro nato dal socialismo craxiano – come alcuni studiosi dimostrano quasi in maniera scientifica – e consolidatosi in anni di sfrenato berlusconismo. Un fenomeno che tutti dicono di odiare, ma che ormai funziona meglio della Juventus: va avanti da solo, non importa se in panchina ci sia Conte o Allegri.

Molte persone che si sono recate a votare non erano realmente a conoscenza del perché del referendum? Certo, ma a questo quesito opinabile bisogna anche aggiungere altri quesiti dalla risposta molto più semplice: quanto ha inciso la strategia del governo in questa calma piatta alle urne? E ancora: quanto conta detenere il controllo dei grandi mezzi di comunicazione tradizionali? Ma soprattutto: quanto ci vorrà prima che gli italiani tornino ad interessarsi alla cosa pubblica? A prescindere dagli orientamenti politici, dai Sì e dai No ai referendum, dalla personale esperienza in anni di elezioni e mancate promesse da parte dei politici. Domenica 17 aprile, come in decine e decine di occasioni precedenti, ognuno era chiamato a votare per sé, per il proprio futuro e per la vita delle persone che gli sono vicine. Tutti quelli che non hanno alzato il sedere dalla sedia per andare a segnare una benedetta X su un foglio di carta – e che si vantano di averlo fatto – sono responsabili dei problemi del Paese. Il trionfo dell’astensione non fa altro che confermare al governo attuale, a quelli precedenti e a quelli che seguiranno una risposta che già sapevano, quella che volevano sentirsi confermare: “Siamo nelle vostre mani… solo, cercate di non stringere troppo, per favore!”

Ma non bisognava cadere nella retorica, è vero. E non bisogna farlo: non ha vinto il governo e non ha perso la democrazia. Abbiamo semplicemente capito chi siamo in questo momento e perché abbiamo tanto da lamentarci.

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