Bluff o talento? Il governo Renzi alla prova dei fatti

[highlight]Che sia la volta buona o la svolta buona è ancora presto per dirlo. Una cosa però è certa: nessuno avrebbe mai scommesso un euro sulla capacità di un novellino di scuotere l’intero sistema politico italiano[/highlight]

[quote]Matteo Renzi è uno bravo al gioco, specie della politica, di quelli che non perdono mai un colpo, almeno a sentire lui. Bluffa, quello bisogna dirlo, è uno che è bravissimo a bluffare… lo fa appena può, come dire sempre. Gioca pesante e fa delle aperture che tolgono il fiato: Questa è la mia posta, chi non ci sta vada in un altro banco![/quote]

Così parlò Dario Fo nel suo ultimo monologo pubblicato in esclusiva da ilfattoquotidiano.it.

Che la personalità dell’ex sindaco di Firenze fosse oggetto di un aspro dibattito tra i più illustri pensatori italiani, è un fatto tutt’altro che inedito. Già ai tempi della prima Leopolda (parliamo dell’ormai lontano 2010), si guardava a Matteo Renzi come ad un futuro leader. Un carisma evidente, scomodo, non incline alla condivisione. Chiedere per conferma a Pippo Civati, uno di quelli che con il toscano ha condiviso il palco dell’ex stazione oltre che il salto da “emergente” a “locomotiva” del partito.

Renzi è un perfetto giocatore di poker, su questo Fo ha ragione. Il più intelligente della compagnia (ad onor del vero la concorrenza in tal senso non è altissima), il più secchione, il più social, il più furbo. È un comunicatore nato al pari di Berlusconi sì, ma anche di Grillo. È stato tra i pochi a capire che, per catturare la stima del cittadino comune, occorreva operare una profonda rivoluzione del linguaggio. Un passaggio che punta dritto tuttora ad annichilire (e quindi rottamare) quello che per decenni è stato il salotto buono della sinistra italiana, custode di un filosofico ed incomprensibile intellettualismo.

Da inquilino di Palazzo Chigi non ha fatto altro che continuare su questa scia: dimostrare che lui è il capo, è lui che trascina il gruppo, è lui che detta i ritmi di gioco. Prendere o lasciare. In quasi due mesi da premier ha messo sul tavolo un programma di riforme strutturali (più o meno condivisibili) fornendo all’opinione pubblica un’unica garanzia: la sua credibilità di leader. La novità sostanziale della sua stagione è però un’altra: allegare agli impegni assunti anche le relative scadenze. Una metodologia che profuma di gioco d’azzardo (riecco Fo) e che spiazza chi vive nell’attesa di scoprire il suo bluff.

I sondaggi sembrano dargli ragione. Le sue prime mosse sono state giudicate positivamente da un elettorato trasversale, sempre più lontano dalla vecchia logica partitocratica. In particolare, sono due le caratteristiche che hanno lasciato il segno tra gli italiani: la velocità e la forza con la quale sono state introdotte misure impensabili nel passato. Certo è che la “luna di miele” (come viene definita in politichese la prima fase di consenso che accompagna ogni nuovo esecutivo) potrà proseguire soltanto ad una – banale – condizione: che i provvedimenti varati risveglino questo Paese da un coma che dura da 20 anni.

Lo scetticismo in tal senso è d’obbligo, anzi giustificato, ma non può essere strumentalizzato da chi punta a smontarlo. Differente è il discorso relativo al peccato originale di Renzi: l’incoerenza con la quale è arrivato a prendere le redini del Paese, era e resterà un fardello dal quale difficilmente riuscirà a liberarsi.

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