Il terremoto del Matese e l’informazione

[highlight]Passata la paura e forse il pericolo di una recrudescenza sismica nella zona del Matese, è tempo di qualche riflessione sul fenomeno e sulla risposta delle istituzioni alle comunità colpite dall’evento del 29 dicembre 2013[/highlight]


Il terremoto del 29 dicembre ha mostrato quanto sia ancora fragile l’organizzazione della Protezione Civile nei Comuni maggiormente colpiti e come i cittadini non siano pronti a rispondere ad un piano preordinato per contrastare il panico e ad affrontare in modo adeguato lo sviluppo del fenomeno nel breve termine.

Anche con un evento che non ha prodotto crolli si sono registrati confusione, panico e scarsa determinazione nelle comunicazioni sullo sviluppo del fenomeno a quanti attendevano informazioni “certe” sulla sua pericolosità. Questo clima di incertezza può in parte attribuirsi agli effetti della sentenza sul terremoto dell’Aquila, che paralizza gli esperti nel timore di incorrere, con le loro dichiarazioni, in responsabilità penali. Abbiamo così letto sui quotidiani ed ascoltato in televisione dichiarazioni fumose ed incomprensibili, perché l’intervistato si destreggiava lungo un percorso pericoloso tentando di allontanarsi dalla domanda: avverrà un terremoto di maggiore energia o il fenomeno può ritenersi esaurito? L’intervistato, invece di rispondere illustrando la complessità del processo in atto ed avanzare un’interpretazione sull’evoluzione del fenomeno sismico, secondo i limiti previsti dal metodo scientifico, sostanziandola con le conoscenze geologiche e sismologiche pregresse e con l’elaborazione dei dati acquisiti nel corso della crisi sismica, ha spesso introdotto altri elementi che non rientravano nelle sue competenze specifiche.

Così abbiamo osservato che il geologo non ha illustrato la struttura geologica e la dinamica della “faglia” che avrebbe generato il terremoto, ma ha riflettuto sulle capacità delle strutture edilizie a sopportare le sollecitazioni sismiche, settore di competenza dell’ingegneria strutturale. E allo stesso modo il sismologo di turno al sistema di monitoraggio ha preferito non rispondere alle domande sul processo che avrebbe generato il terremoto e sulla sua possibile evoluzione, privilegiando descrizioni di processi tettonici globali e non locali.

Spesso le dichiarazioni dei tecnici e dei responsabili politici riportate virgolettate, al di fuori del contesto, hanno un significato diverso da quello espresso dall’intervistato; in tal caso, senza la smentita dell’interessato, la dichiarazione fa testo e può produrre confusione nel lettore.

Già il valore della magnitudo del terremoto non è lo stesso per le diverse fonti: l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) fornisce il valore di 4.9, mentre il Servizio Geologico degli USA (USGS) da il valore di 5.2. Questa differenza non è significativa, in quanto è nell’ordine dell’errore della sua misurazione. Alla magnitudo corrisponde l’energia sismica liberata dalla faglia lungo la quale è avvenuto il movimento tettonico nella crosta e l’energia sismica è proporzionale alla lunghezza della faglia. I dati relativi alla scossa principale (magnitudo 4.9-5.2) indicano che la lunghezza della faglia che l’ha generata è di circa 1 km. Gli epicentri delle repliche si distribuiscono su un’estensione maggiore: ciò indica che dopo l’evento principale son state attivate altre faglie e la struttura sismogenetica si è sviluppata per una lunghezza di alcuni chilometri. Si sarebbe così generata una fagliazione complessa che, se non fosse avvenuta nei tempi differiti osservati, avrebbe prodotto un sisma di ben altra energia, con intensità nell’area epicentrale superiore al VII grado.

Infine, la dichiarazione alla stampa dell’Assessore regionale alla Protezione Civile sul comportamento del patrimonio immobiliare campano alle sollecitazioni sismiche, ritenuto migliore di quello emiliano, come evidenziato nel caso del sisma del 29 dicembre, merita un commento tecnico. Quanto affermato dall’Assessore potrebbe corrispondere ad una condizione reale su basi strutturali, ma non sarà la prova del sisma del Matese a sostenere tale affermazione. Infatti, i danni agli edifici prodotti dai terremoti non dipendono solo dal valore della magnitudo e dalla distanza dall’epicentro, ma anche dalla distribuzione spaziale dell’energia liberata dal sisma e condizionata dal meccanismo di rottura e dalla direzione della faglia, nonché dalla risposta sismica locale che è funzione della rigidità delle rocce attraversate dall’onda sismica.

Nel caso del Matese, la faglia che ha generato il terremoto si sviluppa secondo l’asse del rilievo in direzione NW-SE; è in tale direzione che si propaga la maggiore energia sismica, mentre i principali centri abitati si sviluppano al bordo del massiccio, risentendo un effetto minore. Infine, l’elevata rigidità delle rocce carbonatiche che caratterizzano il substrato geologico di molti centri abitati dell’area non ha determinato effetti di amplificazione del segnale sismico, tanto devastante nelle piane alluvionali come osservati nella conca dell’Aquila e nella Piana Emiliana.

In buona sostanza, nel caso del Matese alcune condizioni geologiche, strutturali e dinamiche favorevoli hanno evitato una catastrofe.

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