Pasolini, la macchinazione e la giustizia che non arriva

[quote]A Bologna è nato il comitato locale per la verità sulla morte di Pasolini. Come si legge in un articolo di Repubblica, “l’obiettivo è sollecitare il Parlamento a votare entro fine aprile la proposta di legge per istituire una commissione d’inchiesta sull’omicidio del novembre 1975”.[/quote]

Spunto di riflessione: possibile che, dopo più di 40 anni, ancora non ci permettano di conoscere la verità su un caso essenziale per la storia della democrazia in Italia? Qui non si tratta di Pasolini,si tratta della voce di un grande intellettuale – artista poliedrico, discusso e apprezzato al contempo come pochi – che ha avuto il coraggio e la capacità di affrontare questioni delicate riguardanti l’attualità del nostro Paese riuscendo ad arrivare alle orecchie (e alla testa) di molte persone. Qui si tratta di tutti gli intellettuali e dell’eventuale spinta – in un senso o nell’altro – che questi erano capaci di dare alla società italiana soprattutto nei momenti peggiori di crisi.

L’omicidio di Pasolini non è un caso privato che riguarda soltanto la storia personale di un grande autore. Dall’omicidio di Pasolini, molto probabilmente, passa lo stato di inquietante e sterile mutismo che sta vivendo l’ambiente intellettuale italiano. Pasolini aveva fortemente criticato le dinamiche di potere dell’epoca destando voglia di ribellione in alcuni e rabbia in altri. Pasolini non era certo il profilo di intellettuale che un re avrebbe scelto per presentare la sua immagine ai sudditi; tanto meno fu l’intellettuale preferito da quelli che lui stesso definiva – in un vecchio articolo del 28 agosto 1975 apparso su Il Mondo – i “gerarchi della DC”. Pasolini era l’intellettuale che apriva gli occhi e, cosa molto più pericolosa, cercava di farli aprire a quante più persone possibili.
Ma poco più su si parlava di una sorta di mutismo intellettuale dei nostri tempi. Un mutismo che, quando prova a tornare alla sua vecchia natura – e cerca quindi di ricominciare a farsi sentire -, viene subito zittito nuovamente, e da timori diventati ormai reverenziali e da un pubblico che non vuole più ascoltare.

Quasi sicuramente, oggi, la morte di Pasolini sarebbe raccontata come un qualsiasi fatto di cronaca nera in un qualsiasi pomeriggio di Canale 5 dalla solita lacrimante e vomitevole conduttrice tv. E di questo omicidio sarebbe sottolineata soltanto la presunta matrice omosessuale (presunta, ma data per certa perché più suggestiva e affascinante agli occhi del pubblico abituato a seguire le avvincenti vicissitudini dei coraggiosi concorrenti dell’Isola dei Famosi). Uno scenario inquietante, sì, ma che diventa irrisorio se viene paragonato alla realtà.
Perché il problema è che  la storia non è arrivata a noi in questo modo dal confortevole salotto della nostra amica dagli occhi lucidi. L’omicidio di Pasolini ci è giunto come tale in maniera ufficiale, giudiziaria. E poco importa se esso è oscurato ancora da molti, troppi punti bui – come raccontato nel film La Macchinazione. La facilità con cui questi punti non sono stati accuratamente chiariti dovrebbe spaventare o quanto meno far riflettere.

Dopo Pasolini ci sono stati e ci saranno ancora altri intellettuali ad illuminare il pigro panorama italiano, certo. Ma altrettanto certo è che una voce autorevole e fuori dal coro come la sua manca proprio da quando Pasolini è stato ucciso. Due volte. Quel 2 novembre del 1975 all’idroscalo di Ostia e più tardi nel processo intorno alla sua morte.
Pier Paolo, come altri prima di lui, morì e fu sepolto… sotto una pesante valanga di scartoffie da ufficio che imputridiscono tanto i suoi capolavori artistici quanto quel suo spirito critico che risulterebbe essenziale in ogni epoca, e in quella attuale in maniera particolare.

Far luce sul caso Pasolini, a più di 40 anni di distanza, è ancora un nodo cruciale per l’idea stessa di libertà di espressione e pensiero, oltre che – conseguentemente – di democrazia. Ne va della vita intellettuale del nostro Paese che sembra essersi ritirata in un letargo volontario ma in parte forzato dalle reazioni del potere; una vita intellettuale che appare, nel suo insieme, imborghesita e annoiata.
Purtroppo, Pasolini – in vita e in morte – ha portato, sempre coraggiosamente, troppe croci. Anche il suo sacrificio sta cadendo nel vuoto scavato con tanta cura dal sistema e dal potere che si è servito, per farlo, anche di quella realtà che lo stesso Pasolini adorava tanto e che cercava di portare all’attenzione di tutti. Per studiarla, per salvarla, per farla considerare e apprezzare.

Morì e fu sepolto, anche lui, e fin da subito ha provato a resuscitare. Ma in molti, troppi continuano ad impedirglielo.

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