1 milione di abbonati online per il New York Times: c’è speranza per l’editoria?

[highlight]Se non siete del New York Times non è detto che potrete raggiungere lo stesso traguardo[/highlight]

Bisognerà pur far fronte alla rivoluzione digitale che ha investito molteplici settori dell’economia e, in particolare, il mondo dell’editoria. Nella lotta continua tra il cartaceo e il digitale sembra aver avuto la meglio, per il momento, e relativamente ai gusti del lettori, il secondo; complice di questa ribalta sicuramente la fruizione generalmente gratuita dei contenuti online. Non la pensano allo stesso modo gli editori che, da dietro le quinte, cominciano a cercare di gestire la disputa non accontentandosi degli scarsi ricavi pubblicitari che l’universo virtuale garantisce, ma puntando sull’abbonamento on-line come condizione imprescindibile per poter accedere ai contenuti. La testata giornalistica che si è attualmente aggiudicata la vittoria in questa sfida è il New York Times che, dopo aver lanciato, quattro anni fa, la modalità paywall per l’accesso ai contenuti della sua versione online,  ha superato il milione di abbonati online, con un incremento di 33 000 abbonamenti digitali registrati soltanto nel secondo trimestre del 2015. Si tratta di un modo per fronteggiare la crisi che ha investito il mondo dell’editoria e che però, a ben vedere, non deve far ben sperare a tutti gli altri concorrenti.

In molti hanno accolto la notizia entusiasti, in quanto che qualcuno sia riuscito a convincere ben un milione di persone a pagare per le news è sembrato il raggiungimento di un obiettivo difficilissimo e un traguardo incoraggiante. Ci ha pensato, però, Mathew Ingram, uno dei più esperti analisti di giornalismo digitale, a frenare l’entusiasmo con ciò che ha dichiarato per Fortune: [quote]Ogni abbonato al New York Times è un lettore che quasi certamente non pagherà per un altro giornale[/quote] trattandosi di una testata diversa da tutte le altre nel panorama del giornalismo internazionale. «Per come funzionano i contenuti ai tempi di Internet» spiega Ingram «ogni successo del New York Times nel trovare nuovi abbonati significa che ci saranno meno persone che pagheranno per avere notizie da altre fonti».

La maggior parte delle persone, continua Ingram, non paga per le notizie che legge online e quelle poche che pagano sono con grande probabilità disposte a pagare per un solo giornale. A non lasciare alcun dubbio, interviene la frase pubblicata su Twitter da Ben Thompson, altro analista dei media: [quote]Chiunque voglia pagare per le sue news, ovunque nel mondo, sta probabilmente pagando il New York Times[/quote]. La morale della favola è che si rivela alquanto improbabile che i risultati del New York Times possao produrre un benefico effetto a catena per tutti gli altri giornali online.

Ancora Mathew Ingram cita uno studio del 2013 condotto dal Tow Center for Digital Journalism della Columbia University di New York, nel quale, per analizzare lo stato attuale e il futuro dei giornali online, gli autori avevano deciso di escludere qualsiasi cosa si potesse dedurre dall’andamento del New York Times, poichè la sua unicità non poteva insegnare nulla al resto del mondo. Non ci sono molti altri giornali con la storia, la tradizione del buon giornalismo, la qualità e la diffusione del New York Times; forse soltanto il Guardian Ingram ritiene si avvicini alla grande testata per alcuni di questi aspetti. Sarebbe, quindi, fuorviante usarlo come termine di paragone: quello che funziona per il New York Times non funziona per gli altri.

In ogni caso, nonostante la ripresa degli ultimi tempi, i risultati raggiunti dal New York Times non gli consentono di riportarlo alla solida posizione economica di qualche anno fa, prima del crollo del valore della pubblicità. I numeri parlano chiaro: la gestione del New York Times costa 1,4 miliardi di dollari all’anno; gli abbonamenti generano ricavi stimati intorno ai 185 milioni di dollari all’anno, sufficienti a malapena per il mantenimento della sola redazione. Questo grafico, inoltre, mostra i ricavi ottenuti dal New York Times grazie alla pubblicità: la linea blu indica la pubblicità venduta per l’edizione cartacea del giornale, quella rossa mostra i ricavi complessivi per la pubblicità, quindi aggiungendo anche quelli ottenuti online. Nonostante il milione di abbonati online, dunque, i ricavi pubblicitari generati sono comunque minori rispetto a quelli generati dal cartaceo.

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Ad ogni modo, le dichiarazioni di Arthur Sulzberger, editore nel 2007 del New York Times, lasciano intuire chiaramente la piega che il giornale vuole prendere a ogni costo:  [quote]Non so davvero se tra cinque anni stamperemo ancora il Times e non me ne importa nulla. Internet e’ un posto meraviglioso e noi lì siamo leader[/quote]. L’obiettivo del giornale di rafforzare sempre più l’informazione digitale a discapito della versione cartacea in decrescita è e continuerà ad essere, in fondo, l’obiettivo comune a tutte le testate giornalistiche, ma per queste ultime l’aspirazione alla vittoria richiede un percorso più arduo da intraprendere data la partenza in posizione di svantaggio. Rimane al momento la curiosità per ciò che il mondo del giornaliismo riuscirà ad escogitare.

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