“La grande tristezza” di un paese ridicolo

[highlight]”La Grande Bellezza” di Paolo Sorrentino vince il Golden Globe come Miglior Film Straniero e noi cosa facciamo? Polemizziamo[/highlight]

[quote]Finisce sempre così, con la morte. Prima, però, c’è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura. Gli sparuti e incostanti sprazzi di bellezza, e poi lo squallore disgraziato. È l’uomo miserabile[/quote]

Invece di festeggiare si preferisce polemizzare. Ecco lo sport nazionale, quello in cui tutti gli italiani eccellono. “La Grande Bellezza” di Paolo Sorrentino vince il Golden Globe come Miglior Film Straniero e noi cosa facciamo? Esatto, polemizziamo.

C’è chi aveva recensito il film positivamente che si scaglia contro chi, invece, lo aveva snobbato, criticato, demolito, definendolo un film presuntuoso. C’è chi (giustamente) gioisce per il prestigio che vincere questo premio comporta, e chi accusa il film di ledere l’immagine nazionale mostrando lo squallore italico, che i panni sporchi si lavano in famiglia.

C’è chi è consapevole di trovarsi di fronte ad uno dei migliori registi al mondo e ad un attore immenso, qual è Toni Servillo, e chi ha imparato a conoscerlo solo per un fuori onda. Quel «ma vafancul’» pronunciato con una tale enfasi da sembrare scritto in un copione e che ha fatto il giro del web, con il duplice risultato di ridicolizzare la giornalista di Rai News e gettare fango su Servillo per un gesto, va detto, poco adatto alla persona elegante che in realtà è.

Tutto questo è assolutamente inaccettabile. Svilire così un successo di cui andare fieri trasformandolo in un gossip da giornaletto scandalistico da quattro soldi è l’esatta definizione di ridicolo.

“La Grande Bellezza” è un film importante, entrato di diritto nella storia del cinema e definibile, senza timore, un capolavoro. La forza della produzione cinematografica di Sorrentino sta nella potenza dell’immagine e nella profondità psicologica e narrativa dei suoi personaggi, elementi considerati più importanti della trama e della storia.

Il regista di “Le conseguenze dell’amore” con il suo film è riuscito dove molti hanno fallito: raccontare la bellezza, impossibile in quanto indefinibile.

Lo splendore di Roma e del suo cielo all’alba, il corpo di una donna, la cui nudità, accostata alla perfezione delle statue antiche, riesce a esprimere una potente sensualità senza mai sfociare nella volgarità, la gioia dei bambini che giocano in un cortile, il volto della donna amata e perduta, tutto filtrato attraverso la doppia lente dello squallore del “vortice della mondanità” e gli occhi veri, vivi, vivaci, ma allo stesso tempo malinconici e nostalgici, di Jep riescono nell’impresa, rendendo questo film una poesia declinata in immagini.

D’altronde, la definizione tecnica di cinema è “fotografia in movimento”, e “La Grande Bellezza” è proprio questo: una fotografia, un’istantanea del nostro paese, «pazzo ma bellissmo», come l’ha definito il regista ricevendo l’ambito premio, anticamera degli Oscar.

Come dice il proverbio? Un’immagine vale più di mille parole. Allora facciamo silenzio, e godiamoci il momento.

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